Le aggregazioni tra imprese crescono. Al 31 dicembre 2018 sono diventate 5.135 le reti d’impresa attive in Italia e 31.405 le aziende coinvolte. +18,9% rispetto al 2017 che si era chiuso con 4.318 contratti attivi. La suddivisione territoriale è pressoché uniforme. Il 38% sono ubicate al Centro, il 37% al Nord e il 25% al Sud del Paese. Le regioni che vantano più reti attive sono il Lazio con 8.305, la Lombardia 3.316, il Veneto 2.409 e la Campania 2.380.
Mentre, tra i settori (Codice ATECO), il ricorso alle aggregazioni è trasversale. Guidano “Agricoltura, silvicoltura e pesca” con il 18% seguite dal “Commercio” e il “Manifatturiero” appaiate con il 16%. Numeri importanti che parlano chiaro. Superate alcune riserve di carattere culturale sul business collaborativo, gli imprenditori stanno apprezzando questo valido strumento di politica industriale.
Il contratto di Rete
Il contratto di Rete è stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico nel 2009. Si tratta di uno strumento tutto italiano orientato a facilitare progetti d’investimento comuni tra più soggetti imprenditoriali che, così, accrescono potenziale e capacità competitiva ma senza perdere la propria autonomia. Attraverso la Rete le imprese condividono le risorse – finanziarie e umane – necessarie per investire in innovazione, aumentare l’efficienza nei processi produttivi, diversificare e internazionalizzare le produzioni. Così le PMI superano il loro tradizionale limite dimensionale che, tra l’altro, frammenta la catena del valore e ostacola il coordinamento lungo le filiere di cui sono parte.
I fabbisogni delle imprese
Ma le imprese oggi chiedono di più. Da un’indagine di RetImpresa emerge che Il 75% delle aziende in rete è interessato a finanziamenti e assistenza per l’internazionalizzazione e il 44% per la ricerca e l’innovazione. Specie quelle ad alto potenziale innovativo percepiscono come insufficiente l’attuale livello di partnership con il sistema bancario. In particolare chiedono un supporto finanziario su misura (tailor-made) e forme di confronto e collaborazione strutturata.
La strategia delle banche
Le Banche si stanno attrezzando. Intravedono nelle aggregazioni un nuovo segmento di mercato da aggredire ma con modelli di interazione nuovi, specifici e diversificati. D’altronde ciascuna rete è composta da una rosa d’imprese quindi da un insieme di ulteriori e nuovi possibili clienti.
Da uno studio di Antonio Proto dell’Università Ca’ Foscari emerge che “solo alcune banche (Carige, Deutsche Bank, Banco BPM) sono orientate prevalentemente al finanziamento dei programmi di rete. Le altre invece (Unicredit, Intesa Sanpaolo, BNL, Cariparma) offrono una gamma più ampia di servizi finanziari e di consulenza. Adottano cioè servizi dedicati e promuovono l’utilizzo del contratto di rete fra le imprese clienti. In questo caso il modello di rete è considerato anche uno strumento di rafforzamento e sviluppo, in particolare delle PMI, con potenziali benefici per la banca in termini di maggiore solidità delle controparti e contenimento dei rischi”. Infatti ormai la maggioranza degli istituti bancari propone consulenza e supporto per l’internazionalizzazione e la R&S. Alcuni si spingono anche nel promuovere azioni di networking. Perché hanno compreso che la stessa rete dei loro clienti è un valore da sfruttare. Le Banche si stanno così contendendo lo spazio lasciato libero dalle associazioni di categoria che, sotto i colpi della crisi, in gran parte hanno tralasciato questi servizi. La sfida, dunque, è lanciata. Ma siamo solo all’inizio, chi ha polvere spari.