Ormai è chiaro a tutti: siamo nel bel mezzo di una forte accelerazione dello sviluppo di tecnologie digitali che sta determinando un’eccezionale ondata di cambiamenti. Cambia il nostro modo di vivere e di lavorare ma, soprattutto, cambia il modo fare impresa. La competitività infatti si conquista sempre più con produzioni “intelligenti” (Smart Manufacturing) che incorporano massicce dosi di nuove tecnologie e applicazioni digitali. I “Big data” e “l’Internet delle cose”, i sistemi di business intelligence e la robotica avanzata stanno spingendo verso nuovi modelli organizzativi, produttivi e di business. Così le imprese destinate ad imporsi saranno diffuse e connesse, rapide e flessibili. Avranno “meno capannoni e più software”.
Un vero cambio di paradigma – si parla di quarta rivoluzione industriale, ormai nota come “Industry 4.0”- che rappresenta un’occasione unica per il nostro tessuto industriale e, in modo particolare, per quello meridionale. Perché le infrastrutture materiali – limite storico del Mezzogiorno – incideranno sempre meno: si muoveranno i dati poiché i beni saranno prodotti dove verranno acquistati. Perché il capitale umano di qualità, quello che oggi vediamo andare via, non solo sarà fondamentale ma potrà lavorare anche lontano dai centri di produzione. Perché i settori che si sono già incamminati verso i paradigmi di “Industry 4.0”, come l’Automotive e l’Aerospazio, e quelli che sono determinanti nel tragitto, come i Servizi Avanzati, hanno al Sud campioni e “cluster” eccellenti.
Ma cosa occorre fare, da dove iniziare? L’imperativo è uno: fare del nuovo digitale il lievito della crescita del nostro sistema industriale. Bisogna incentivare ogni iniziativa capace di promuovere contaminazioni tra tecnologie digitali e produzioni industriali manifatturiere, tra piccole realtà innovative e grande impresa (capifiliera).
Ancora: occorre investire seriamente nello sviluppo delle competenze. Scuola e Università sono campi strategici da portare sulla frontiera. E’ qui che dobbiamo seminare perché è qui che si coltiva il futuro dei giovani e, con il loro, quello delle imprese. Magari con un cambio di rotta: l’obiettivo della formazione è creare valore attraverso le competenze, non garantire compensi ai docenti né fornire un palliativo contenimento del costo del lavoro.
Insomma: troppe volte si è predicato il bisogno di fare sistema tra i diversi attori dello sviluppo, ma senza definire mete e percorsi comuni su cui impegnarsi. “Industry 4.0” deve diventare perciò un obiettivo condiviso per l’intera classe dirigente meridionale. E in tal senso sarà importante tanto l’azione dei corpi intermedi, Sindacato e Confindustria su tutti, quanto la visione e le scelte dei governi territoriali. Ma un ruolo straordinario lo avranno gli “uomini del fare”, gli imprenditori che devono acquisire un passo lungo nei loro sogni d’impresa. Magari con l’aiuto di uomini e culture capaci di proporre loro analisi prospettiche e suggestioni da tradurre in operosità.
La sfida che ci attende è dunque collettiva e, come tale, anche culturale: non c’è economia solida senza una comunità forte. E così, scrutando l’orizzonte a mezzogiorno, è lecito chiedersi se questo sarà l’ennesimo treno perso. O se, invece, saremo in grado di cogliere le opportunità che ogni rivoluzione offre proprio a quelle economie in affanno.