Di seguito il FOCUS contenuto nel Rapporto SVIMEZ 2019 nel quale viene presentata una possibile strategia di politica industriale incentrata sulla sinergia tra Università, Capifiliera e PMI territoriali. L’obiettivo è attrarre investimenti della grande industria e trasferire, insieme con l’Università, opportunità ai giovani studenti e alle PMI che ambiscono ad allargare i propri orizzonti di mercato.
U-MATCH: UN’ALLEANZA TRA UNIVERSITA’ E GRANDE IMPRESA
Il talento, la creatività e l’attitudine ad innovare delle giovani generazioni insieme al “sentimento dei luoghi” – cioè la loro capacità di far emergere, di produrre quegli stimoli che esaltano la parte migliore di ciascun individuo – stanno modificando le dinamiche e i contesti dove si pensa e si crea il valore. Tanto che oggi, per incrociare la frontiera dove abitano le nuove sfide dell’economia, bisogna seguire proprio le rotte percorse dai giovani alla ricerca di saperi e quindi di opportunità.
Per questo è il saldo migratorio universitario, prima e più di altri indicatori, ad evidenziare le difficoltà del Mezzogiorno. Nell’anno accademico 2016-2017 gli iscritti all’università residenti nelle regioni meridionali sono stati 685.000. Di questi 175.000 (pari al 25%) hanno scelto atenei del Centro-Nord. Un flusso negativo accompagnato da una “perdita” di circa 3 miliardi per le comunità del Mezzogiorno e da un riverbero economico per le Università meridionali derivante dalla conseguente diminuzione dei finanziamenti pubblici. Un vero e proprio esodo che, troppo spesso e con troppa leggerezza, viene imputato soprattutto alla qualità dei sistemi formativi.
Se, infatti, consideriamo che oltre il 25% degli stessi laureati negli atenei del sud si trasferisce successivamente al nord in cerca di lavoro, emerge che le cause sono altrove. I giovani, infatti, vanno via in cerca di opportunità e qualità della vita, cioè di un lavoro gratificante e di una convivenza sociale appagante. Per questo sacrificano gli affetti familiari e recidono il legame con i territori dove sono nati per fecondare altre aree del Paese e altre nazioni.
Ed è in questo scenario, invece, che proprio l’Università può essere decisiva nell’innescare un deciso cambio di rotta. Per farlo deve però accettare la sfida di riconfigurare la propria missione – perché sia in armonia con il contesto produttivo dei territori in cui opera e con cui interagisce – e svolgere un ruolo di attrattore, di ponte tra conoscenza, competenze e imprese. Vediamo come.
UNIVERSITÀ DEL MEZZOGIORNO E DELLE AREE INTERNE
Nel Sud del Paese esiste un solo grande ateneo (con più di 40.000 studenti in corso), tre atenei medio-grandi (con più di 20.000) e una costellazione di medio-piccole e piccole università: 8 con un numero di iscritti in corso compreso tra 10.000 e 20.000 (pari al 40% degli atenei medi statali) e 12 con meno di 10.000 studenti regolari (pari al 63% dei piccoli atenei italiani). Parlare di università piccole e medie, pertanto, significa parlare di questioni prevalentemente meridionali. Ma le problematiche ad esse connesse sono in realtà più generali. Infatti, alcune università di queste dimensioni insistono in aree interne e subiscono più di altre gli esiti della perdurante crisi. In ciò condividendo le criticità con altre realtà, fuori dal contesto meridionale, che vivono una crescente marginalità indotta dalla tendenza alla concentrazione di attività economiche in parti ristrette della Penisola.
È evidente ormai che sono proprio le piccole università – ed in particolare quelle delle aree interne – che stanno risentendo maggiormente della crisi economica recente e delle misure che i vari governi hanno adottato per affrontarla. Basti considerare che, mentre gli atenei grandi e mega sono stati significativamente più protetti nella gestione della crisi, il finanziamento pubblico dei piccoli atenei è sceso a valori sostanzialmente prossimi alle spese sostenute per pagare gli stipendi del personale a tempo indeterminato. La questione è decisamente gravosa visto che, tra l’altro, questi atenei insistono in aree nelle quali è impossibile pensare che una compensazione dei costi possa essere assicurata da un maggiore gettito delle tasse studentesche. I valori medi, tra l’altro, non denunciano per intero la gravità del problema. E così, se si analizzano le situazioni ateneo per ateneo, si nota che in troppi casi il rapporto tra spese fisse e finanziamenti è superiore al 100%.
In queste condizioni diventa non più trascurabile il rischio di: (i) impoverimento di settori accademici che erano forti in un recente passato, (ii) non poter assicurare lo sviluppo di carriera per i più meritevoli, (iii) non poter reclutare nuovi ricercatori, comportando, di fatto, una tendenza alla stagnazione e all’immobilità.
Si rende così evidente che occorrono politiche specifiche per le piccole università, o forsanche più urgentemente, per quelle delle aree interne. Al di là, infatti, delle questioni più generali, tralasciando, cioè, i problemi che in generale attanagliano l’università italiana, è chiaro che le scelte correnti sono più adatte ad intercettare le esigenze delle università dei centri urbani a grande potenziale attrattivo. Gli atenei che vengono ad essere eccessivamente penalizzati sono, tra l’altro, quelli che maggiormente svolgono una funzione di sostegno culturale in aree a maggiore difficoltà di sviluppo, mentre sono in qualche modo meno colpite quelle piccole sedi che offrono una formazione in ambiti specifici, o perché per statuto si rivolgono ad un ben preciso ambito formativo (es. politecnici, lingue orientali) o perché, svolgono una funzione di completamento formativo in regioni già servite da altri atenei più grandi e si trovano così a limitare la loro offerta formativa a quei soli ambiti non completamente coperti nella regione stessa (es. Catanzaro). Il pericolo, pertanto, è che università piccole e delle aree interne finiscano con l’essere del tutto marginali e col non poter accompagnare in alcun modo quel processo di rilancio del Paese che, come più volte dimostrato in questo Rapporto, deve recuperare la competitività di tutti i suoi territori, con particolare riferimento, tra l’altro, alle regioni del Mezzogiorno.
È ormai necessario sottolineare che tutte le analisi condotte da Svimez nel settore universitario conducono a registrare una crescente convinzione, anche ai vertici del sistema accademico nazionale, che nel contesto socio-economico attuale, le università delle aree interne non possono affrontare da sole le sfide alle quali sono chiamate tutte le università italiane per competere sul piano nazionale e internazionale. Queste, infatti, hanno difficoltà a consolidare la massa critica necessaria per conferire efficienza, flessibilità e qualità alle attività didattiche e di ricerca.
Perdurando, però, la convinzione che lo sviluppo e il mantenimento del capitale umano in ogni parte del Paese non può prescindere da un sistema universitario diffuso sul territorio, risulta necessario pensare a nuove politiche, specifiche per il settore.
È altresì vero che un sistema diffuso moderno ed efficace richiede un significativo sforzo per favorire collaborazioni e aggregazioni funzionali tali da realizzare reti in grado di rispondere alle esigenze sociali al pari di soggetti che, operando in ambiti a maggiore concentrazione e sviluppo, riescono da soli ad essere competitivi sullo scenario internazionale.
In questa direzione, sarebbe auspicabile avviare una concreta riflessione sulla possibilità di fare del Mezzogiorno, o di una consistente parte di esso, una vera e propria “macro regione del sapere”, collegando e mettendo a sistema, ad esempio, le attività di atenei grandi e piccoli sull’asse Napoli – Potenza – Bari, o ancora Cagliari-Cosenza-Palermo.
Anche a tal fine, sembrano maturi i temi per sperimentare nuovi modelli di partenariato tra gli atenei, idonei a stimolare il dialogo con le grandi imprese e, anche, per questo, adatti a rendere attrattivi luoghi e regioni che non possono più pagare una quota tanto elevata in termini di emigrazione intellettuale.
IL MODELLO U-MATCH
In questo quadro SVIMEZ e FONDAZIONE TRANSITA hanno messo a punto una possibile strategia di politica industriale incentrata sulla sinergia tra Università, Capifiliera e PMI territoriali. L’obiettivo è di attrarre investimenti della grande industria che opera sui mercati internazionali e di trasferire, insieme con l’Università, opportunità ai giovani studenti e alle PMI che ambiscono ad allargare i propri orizzonti di mercato. Un modello, questo, che dev’essere anche in grado di favorire l’interazione tra grandi e piccole università del Sud, così da formare e valorizzare al meglio il capitale umano, ma anche di disegnare e costruire strategie per accrescere la capacità attrattiva delle comunità e migliorare il sistema industriale dei diversi territori meridionali in armonia con le loro specializzazioni e vocazioni. Questa capacità attrattiva risulterebbe ulteriormente potenziata se le singole università si organizzassero in una rete improntata alla ricerca della complementarietà applicativa e che sia basata sulla esaltazione delle specificità e delle vocazioni dei territori di riferimento.
Le Università possono, così, diventare determinanti per lo sviluppo economico ed il progresso sociale dei territori se, oltre ad allargare e adeguare costantemente il perimetro delle conoscenze che formano e trasferiscono, svolgono anche un ruolo di collegamento e stimolo tra tutti i protagonisti dello sviluppo e tra questi e le grandi imprese a capo di filiere produttive.
In modo particolare – di fronte all’ormai atavica debolezza strategica delle politiche industriali per il Mezzogiorno e in assenza di proposte e azioni da parte dei corpi intermedi – devono allearsi con quelle imprese (champion) che operano nei mercati internazionali, cioè con quelle realtà aziendali vincenti che guidano filiere produttive complesse, che vivono nei “flussi” e contribuiscono a determinarli.
Per riuscirci le università devono quindi mettersi in rete per condividere competenze e buone pratiche, così da garantire un’offerta adeguata. Questo significa che – nel rispetto della complementarietà tra specializzazioni e vocazioni dei territori – la rete delle Università deve riconfigurare la propria missione strategica per:
- disegnare, adeguare e somministrare una parte della loro offerta formativa insieme con le imprese champion. L’obiettivo è di generare competenze di frontiera e come tali funzionali e immediatamente spendibili dal motivato capitale umano di cui dispongono i territori;
- promuovere progetti di ricerca finalizzata e trasferimento tecnologico, in armonia con i piani industriali e le tecnologie di riferimento delle imprese champion
Questo modello non trascura, ma, anzi, esalta anche il tessuto delle PMI che opera sul territorio. Proprio grazie a questo nuovo ruolo di “hub” produttivo dell’università, infatti, le PMI potranno godere della forte relazione tra conoscenze, competenze e grande impresa così da:
- usufruire di competenze altamente specializzate prodotte dall’università ed in linea con le tecnologie e i piani di sviluppo delle grandi imprese
- proporsi all’impresa champion per entrare nella sua catena di fornitura e/o nel suo sistema di “open Innovation”
- entrare in contatto con startup e spin-off da incubare
- beneficiare delle opportunità di trasferimento tecnologico
- beneficiare delle competenze della rete delle università per finalizzare i propri progetti di ricerca in un contesto più ampio
Riteniamo che sia questa una via con cui, oggi, molte università del Mezzogiorno possono rilegittimare la propria funzione nei territori e proiettarla nel futuro. E ai giovani del Mezzogiorno, infondere quella speranza di futuro e di orgoglio di appartenenza alla loro comunità. Di questo, in particolare, il Sud ha una essenziale necessità.
UN PROPOSTA POSSIBILE: U-LINK ACADEMY BASILICATA
ll modello U-MATCH ha trovato una sua prima ipotesi di applicazione nella proposta “U-Link Academy Basilicata” delineata da Svimez con la collaborazione dalla Fondazione Transita.
L’ipotesi si basa sulla possibilità di costruire un’innovativa sinergia tra una grande Università del Mezzogiorno, qual è la “Federico II” di Napoli, ed una di piccole dimensioni, l’Università della Basilicata. L’ipotesi progettuale ambisce a recuperare un’esperienza di eccellenza, come è ormai considerata dal mercato quella dell’Academy dell’Università Federico II di Napoli, per creare una collaborazione tra le due Università rispettando le vocazioni reciproche e le specializzazioni, manifeste e potenziali, dei rispettivi tessuti produttivi.
U-link potrebbe contare sulla straordinaria motivazione dei giovani lucani a cogliere l’opportunità di investire le proprie energie nei territori e nelle comunità in cui sono radicati.
“Accompagnare gli studenti nell’ultima fase della loro formazione universitaria attraverso corsi e programmi didattici in modo da accrescere e potenziare le loro competenze in senso specialistico e facilitarne, così, l’ingresso nelle stesse aziende o in altre a queste collegate”. E’ questo lo stimolo progettuale che è alla base di “U-Link Academy Basilicata”.
Ma U-LINK ACADEMY BASILICATA guarda anche oltre, in quanto al di là dell’interazione strutturata con le imprese, lo stesso può rappresentare la base per una collaborazione strutturata tra un piccolissimo ed un grandissimo ateneo, con l’idea di proporre un modello per rendere più flessibile e dinamica l’azione delle piccole università, favorire la diffusione del know-how dei mega atenei in nuovi territori e fare delle piccole sedi universitarie luoghi di eccellenza specifica tale da sviluppare un sufficiente potere attrattivo.
Il quadro normativo di riferimento per la realizzazione un tale modello è probabilmente offerto dall’Art. 1, comma 6, della L. 240/2010, che recita: “Sono possibili accordi di programma tra le singole università o aggregazioni delle stesse e il Ministero al fine di favorire la competitività delle università, migliorandone la qualità dei risultati, tenuto conto degli indicatori di contesto relativi alle condizioni di sviluppo regionale”. Interventi normativi o regolamentari aggiuntivi potrebbero aiutare a definire meglio gli ambiti di validità dell’iniziativa, ma non sembrano essere indispensabili.
Ai fini della comprensione della proposta è necessario fornire elementi dimensionali delle due università. In particolare, è utile evidenziare che l’Università di Napoli Federico II e l’Università degli Studi della Basilicata rappresentano, il primo, uno dei più grandi atenei italiani (il terzo per numero di studenti regolari iscritti) e, il secondo, il penultimo per numero di iscritti dopo l’Università del Sannio. Inoltre, uno è molto antico e in una fase di evidente crescita e il secondo, decisamente più giovane, è sito in un’area interna. Entrambi sono meridionali e quindi determinanti per lo sviluppo delle sorti del Sud.
Un elemento importante per comprendere il potenziale di flessibilità indotta è che L’Università della Basilicata, per numero di studenti e di personale, nonché per volume di finanziamento, rappresenta circa il 10% della Federico II. Con questi numeri, al di là dell’interesse politico che si auspica possa manifestare il Governo nazionale, vi sono ampi margini per un investimento diretto sul progetto da parte dell’università più grande.
Un accordo di programma tra le due università coinvolte dovrebbe, a tal fine, essere finalizzato all’identificazione di una serie di impegni che le università partner andrebbero ad assumere e che il MIUR potrebbe essere disposto ad avallare. Impegni aggiuntivi potrebbero essere assunti dai partners industriali che sposano l’iniziativa dell’Academy. Nell’accordo potrebbero essere inseriti elementi per favorire, ad esempio, le seguenti azioni:
- Sviluppare in maniera congiunta un progetto per la mobilità privilegiata dei docenti e dei ricercatori tra le due sedi, anche al fine di rinnovare e rendere più flessibile ed efficace l’offerta formativa.
- Contribuire alla valorizzazione del corpo docente e di ricerca, per costituire, anche nella sede più piccola, dipartimenti di eccellenza.
- Mettere in condivisione progetti di mobilità internazionale per offrire maggiori possibilità agli studenti e ai docenti.
- Creare percorsi privilegiati di mobilità studentesca tra le due sedi per limitare il fenomeno della migrazione studentesca verso il Nord.
“U-Link Academy Basilicata” è stato presentato il 19 Luglio scorso a Matera presso il Campus universitario e ha visto la presenza, oltre delle due università coinvolte, anche dei rappresentati di grandi aziende come Leonardo, Conad, Huawei Italia, STMicroelectronics, Indra Italia e TIM che hanno manifestato interesse verso l’iniziativa.